E se un giorno si spegnesse tutto?
Viviamo immersi nell’elettricità. Non ci pensiamo quasi mai, eppure ogni aspetto della nostra vita – dal primo messaggio del mattino al film della buonanotte – passa attraverso una presa di corrente, un tasto, uno schermo.
Ma cosa succederebbe se, da un momento all’altro, tutto si spegnesse?
Questa rubrica non è un esercizio distopico, né una previsione catastrofica. È solo un viaggio immaginario, una parentesi possibile, un piccolo esperimento mentale: provare a vivere – almeno con la fantasia – in un mondo senza elettricità.
Cinque racconti, cinque respiri, cinque aspetti della nostra quotidianità da riguardare con occhi nuovi. Non per rinnegare il presente, ma per riscoprire ciò che potremmo aver dimenticato.
1. Il giorno in cui la luce si spense
Non c’è stato un rumore particolare. Nessuno scoppio, nessuna sirena. Solo un silenzio nuovo, improvviso, quasi impercettibile.
La sveglia sul comodino era spenta. Il frigorifero, muto. Il telefono… morto. All’inizio ho pensato a un blackout passeggero. Ho aspettato. Cinque minuti. Dieci. Poi ho guardato fuori dalla finestra.
Tutto era stranamente fermo. Niente luci nei palazzi di fronte. Nessun rumore metallico dalle macchine. Nemmeno il solito ronzio della città. Come se il mondo avesse trattenuto il respiro.
Sono sceso in strada, e c’erano altre persone come me, confuse, in pigiama, con il cellulare in mano e lo sguardo perso. Cercavamo la stessa cosa: una spiegazione. Ma non c’era campo. Nessun segnale. Solo occhi che si incontravano. Gesti. Parole dette ad alta voce, come non facevamo da tempo.
Era come se qualcuno avesse premuto un gigantesco interruttore universale.
E adesso?
La domanda rimbalzava ovunque, sulle facce e nei pensieri. Niente elettricità. Niente tecnologia. Niente certezze. Solo noi, la luce del mattino, e il rumore dei passi sull’asfalto.
Quel giorno ho capito una cosa semplice e disarmante: la corrente elettrica è invisibile, ma tiene insieme tutto. Le nostre abitudini, il nostro lavoro, i nostri legami, perfino la nostra identità. Senza di lei, siamo un po’ più nudi, ma forse anche più veri.
Quel giorno, in fondo, è stato un inizio.
2. Ritmi lenti, cuori presenti
Il giorno dopo, non è stata una sveglia a tirarmi giù dal letto. È stato il sole, che entrava tra le tende con una timidezza che non avevo mai notato. Ho aperto gli occhi lentamente, senza fretta. Perché fretta, ormai, non ce n’era più.
La prima cosa che ho sentito è stata la quiete. Non quel silenzio carico di ansia del primo blackout, ma una calma diversa. Un’assenza di rumori artificiali che lasciava spazio a quelli veri: il canto di un merlo, il legno che scricchiola sotto i piedi, l’acqua che bolle sulla stufa a legna, non per il caffè in cialde, ma per un’infusione improvvisata.
Mi sono reso conto di quante cose facessimo solo perché dovevamo. Perché era ora. Perché il calendario lo diceva. Perché il cellulare vibrava. Senza elettricità, tutte quelle pressioni invisibili sono scomparse.
Il tempo ha cominciato a scorrere in modo strano. Lento, ma pieno. Ogni gesto – lavarsi, vestirsi, preparare da mangiare – richiedeva attenzione. Non si poteva più correre. E nel non correre, ho cominciato a vedere. Le mani che si muovevano, il viso riflesso nell’acqua fredda, la luce che cambiava colore a seconda dell’ora.
Perfino la fame è tornata a essere vera. Non quella da “snack veloce davanti al pc”, ma una fame che arriva con la sera, dopo aver camminato, parlato, pensato. E il cibo aveva un altro sapore, forse perché era fatto con il tempo e non con l’elettricità.
Le giornate erano corte, ma densissime. E la notte… la notte era buia sul serio. Ma c’era un cielo pieno di stelle che non ricordavo più di aver guardato.
In un mondo senza elettricità, il tempo torna a essere nostro. Non ci corre addosso. Ci cammina accanto.
3. Silenzio, finalmente
All’inizio, il silenzio faceva quasi paura.
Era come se il mondo si fosse zittito di colpo, lasciandoci soli con noi stessi. Senza il sottofondo continuo di notifiche, motori, pubblicità, streaming, tutto sembrava… vuoto. O forse solo nudo.
Ma poi ho cominciato a sentirlo davvero, quel silenzio.
Non era assenza. Era presenza. Era pieno di cose sottili che non avevo mai ascoltato: il battito del mio cuore al mattino, il ticchettio di un ramo contro il vetro, il vento che sussurra tra le foglie come se raccontasse qualcosa.
Le città, spente, sembravano addormentate ma non morte. Si sentivano i passi delle persone, le voci, qualche risata che rimbalzava nei cortili. Perfino i rumori delle biciclette sembravano musica.
Nelle case, il silenzio faceva spazio alla parola. Non quelle scritte su uno schermo, ma quelle dette ad alta voce. Dialoghi semplici, lenti, veri. Ci si ascoltava davvero, forse perché non c’era più niente a distrarci.
Ho imparato a non riempirlo subito, quel vuoto. A non cercare per forza qualcosa da fare. A stare fermo. A sentire me stesso. A sentire gli altri.
E sai qual è la cosa più strana?
Il silenzio non è mai stato così vivo.
4. La riscoperta delle mani e dei mestieri
Con l’elettricità se n’era andata anche l’automazione. Quella che faceva tutto per noi: lavare, cuocere, riscaldare, conservare, comunicare.
All’improvviso, dovevamo fare tutto noi. Con le mani.
Le prime ore sono state goffe. Cercare di accendere un fuoco, impastare senza ricette online, cucire un bottone, aggiustare una sedia che traballava. Ci sentivamo un po’ ridicoli, come bambini alle prese con qualcosa di troppo grande. Ma poi è successo qualcosa.
Fare con le mani ci ha riportati alla terra. Al corpo. Alla realtà.
Una vicina ha insegnato a fare il pane. Qualcuno ha rispolverato l’uncinetto. Un vecchio falegname ha aperto il suo garage e mostrato come si pialla il legno. Gli attrezzi sono tornati protagonisti. Le cucine, botteghe di scambi. I cortili, laboratori a cielo aperto.
Non si lavorava solo per necessità. Si lavorava per sentirsi vivi.
Perché usare le mani dà una soddisfazione profonda, che avevamo dimenticato. Quel tipo di stanchezza che ti fa sentire utile. Quel profumo di farina, di legno, di stoffa che ti resta addosso come un ricordo buono.
E anche chi, come me, era abituato a lavorare con le parole, ha capito che c’è un linguaggio più antico e silenzioso: quello delle mani che creano.
In un mondo senza elettricità, la manualità è potere. E ogni piccola cosa fatta a mano diventa un piccolo miracolo.
5. Relazioni alla luce delle candele
Quando il sole tramonta in un mondo senza elettricità, tutto si ferma davvero. Non c’è più “dopo cena” davanti a una serie, né scroll infinito sotto le coperte.
C’è il buio. E c’è chi hai accanto.
Le case si riempiono di piccole luci tremolanti. Le candele diventano il nuovo centro del salotto. E attorno a quella luce calda e fragile, tornano le storie. Le vere.
Si racconta. Si ride. Si ricordano cose dimenticate. Si ascolta.
Non ci sono telefoni a interrompere, né distrazioni. Solo volti illuminati a metà e mani che si cercano. Il tempo insieme diventa un tempo pieno, non solo condiviso, ma vissuto.
Anche fuori casa, tra vicini, si crea qualcosa di nuovo. Una rete, ma fatta di sguardi, chiacchiere dalla finestra, piatti che passano di mano in mano. Un ritorno alla comunità, quella fatta di persone vere, nomi veri, storie vere.
I legami diventano più forti, forse perché non sono più mantenuti da una connessione wi-fi, ma da qualcosa di più antico: la presenza.
E sì, ogni tanto manca il cinema. Manca una chiamata a un amico lontano. Manca la musica in cuffia. Ma in cambio, c’è una tenerezza che non si può scaricare. C’è una vicinanza che non ha bisogno di tecnologia.
Alla luce delle candele, ci scopriamo più vulnerabili, ma anche più veri.
Forse, è questa la cosa più preziosa che abbiamo ritrovato.
Riflessioni finali
“Quando si spegne la luce, si accende qualcos’altro”
Vivere senza elettricità sarebbe difficile. Sarebbe una sfida enorme, piena di disagi, di mancanze, di paure. Ma forse, tra quelle ombre, si nascondono anche delle opportunità.
Questa rubrica non vuole idealizzare il passato o demonizzare il presente. È solo un invito a rallentare, a guardarsi intorno, a chiedersi: di cosa ho davvero bisogno?
La luce artificiale è una meraviglia. Ma non dovremmo dimenticare quanto può essere potente anche una luce interiore. Una parola detta, una mano data, un pane impastato, un silenzio condiviso.
Forse non serve spegnere tutto per riscoprire ciò che abbiamo perso. Basta ogni tanto… abbassare il volume. E ascoltare.
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